Disastro Banca Etruria & Company

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Ecco l’ultimo disastro sul risparmio, che ha colpito e annientato i risparmi dei clienti di Banca Marche, Etruria, Cariferrara e Carichieti. Alto si leva il grido di pretese  di nuove e più severe norme, atte a tutelare gli incauti. Ma tant’è.

Il rischio è che ancora una volta si presenti l’alibi all’inerzia di chi doveva vigilare, e non l’ha fatto. E’ infatti mancata la diligenza che ci si aspetta in una Repubblica che ha posto la tutela del risparmio nella sua Costituzione.

A 14 anni dal crack Argentina, quando oltre 400mila italiani persero ingenti somme, ancora sembra non sia stato risolto il nodo della sicurezza di taluni prodotti finanziari. Seguirono i casi Cirio, Parmalat e altri minori, fra i quali i prodotti “My Way” di Mps. E ora siamo di nuovo punto e a apo. A ogni scandalo, la normativa sul collocamento dei prodotti finanziari viene “migliorata”, ma la sua applicazione crea puntualmente delle voragini nel risparmio nazionale. Con la direttiva europea Mifid, si disse che sarebbe cambiato tutto. È solo aumentata la quantità di moduli da firmare, purtroppo non i controlli.

In pratica, la “profilazione” del cliente richiesta per verificare l’adeguatezza dei prodotti finanziari, è stata ridotta a un momento burocratico fine a se stesso. Talune banche hanno continuato a collocare allegramente prodotti inadeguati rispetto ai bisogni del risparmiatore – “mis-selling”, cioè vendita sbagliata – o remunerati in modo scorretto rispetto al rischio effettivo che incorporano – “mis-pricing”, errata valutazione del prezzo. L’assenza di un’informativa trasparente e comprensibile e di controlli efficaci  per ogni rapporto, completa un quadro imbarazzante.

L’annunciata commissione parlamentare d’inchiesta, sollecitata a gran voce dalle opposizioni e poi avallata “obtorto collo” pure dal governo, punterà a chiarire quanto accaduto. Ma si sa, i responsabili sono figli del sistema, dunque nessuno è reo. Al contempo nessuno è innocente, aggiungono solerti i realisti più del re, per cui la colpa sarebbe di chi è stato così “incauto” da fare credito all’istituto di credito e che si è fidato, chi della Banca, chi del Direttore, chi del titolista di turno. La Banca d’Italia, che vigila sulla sana e prudente gestione delle banche in questione, e la Consob, che controlla la correttezza dei comportamenti degli intermediari, hanno già messo le mani avanti. I risparmiatori sono stati informati dei rischi, spergiurano i vertici degli organi di controllo, che sentono di avere la coscienza a posto perché nei prospetti è stata inserita una frase sull’eventualità di perdite in caso di liquidazione o di procedure fallimentari.

Ma qualche dubbio forte comincia a serpeggiare. Dopo il commissario Ue ai servizi finanziari Jonathan Hill, che ha parlato di vendita inadeguata, anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan di fronte alla Commissione Bilancio della Camera, non esclude più che “le quattro banche abbiano venduto obbligazioni subordinate a persone che presentavano un profilo di rischio incompatibile con la natura di questi titoli di investimento, ma questo è quanto andrebbe accertato con l’analisi di ogni singola posizione”. Ma di questo si occuperanno tribunali e procure, o – ironia della sorte – il nuovo organismo stragiudiziale per la definizione delle controversie che è già previsto nel nostro ordinamento ed opererà sotto la Consob. Staremo a vedere.

L’approccio alle politiche “macro” del regolatore merita invece una riflessione proprio in vista dell’inchiesta parlamentare: come mai  le scelte del regolatore sono sempre andate in direzione di una relativa trasparenza verso l’investitore e di una facilitazione delle esigenze dell’industria finanziaria, oppure è frutto di una scelta deliberata?

Un caso interessante è quello  del collocamento dei prodotti finanziari illiquidi.

Il 2 marzo 2009, quando ancora alla presidenza c’era Lamberto Cardia, la Consob approvò una Comunicazione in cui fissava delle regole di condotta che il distributore, cioè la Banca, “deve seguire in sede di trattazione di prodotti finanziari illiquidi”. Tra questi rientrano certamente le obbligazioni vendute dalle banche alle clientela. “In particolare per illustrare il profilo di rischio di strutture complesse, è utile che l’intermediario produca al cliente anche le risultanze di analisi di scenario di rendimenti da condursi mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive (ossia rispettose del principio di neutralità al rischio)”. Questa metodologia di uso internazionale, conosciuta come “scenari probabilistici di rendimento”, applicata al famoso convertendo emesso nel 2009 dalla Banca popolare di Milano, aveva messo nero su bianco che al momento del collocamento il titolo aveva una probabilità del 68,4% di ottenere (in media) la restituzione di 59,6 euro per ogni 100 investiti.

Nel caso delle obbligazioni subordinate 2013/2018 di CariChieti, gli scenari probabilistici avrebbero segnalato in ipotesi il rischio di perdere quasi il 50% del capitale con una probabilità del 37 per cento. Leggendo invece l’ipotetico prospetto dell’emissione subordinata di Banca Etruria 2013-2023, l’investitore avrebbe saputo in quel momento che aveva il 62,73% di probabilità di ottenere in media la restituzione di 54,18 euro per ogni 100 euro investiti, il 36% di portare a casa 113 euro (con un rendimento del 4,66% l’anno), e solo l’1,24% di avere un rendimento del 5,49% l’anno. Grado di rischio: molto alto. O pazzesco ed  immotivato?

Nel frattempo, partiva la grande corsa al collocamento delle obbligazioni subordinate da parte delle banche, che dopo essere state cullate a lungo dalla stessa Banca d’Italia nell’illusione di vivere nel sistema bancario più solido d’Europa, scoprivano l’urgenza di ricapitalizzarsi.

Una comunicazione della Commissione Ue, entrata in vigore ad agosto 2013 pone dei paletti sugli interventi di salvataggio delle banche, imponendo che, prima di mettere mano alle casse pubbliche (inclusi i fondi interbancari di garanzia, se soggetti a controllo pubblico), bisognerà intaccare patrimonio e obbligazioni subordinate. Inoltre l’Autorità bancaria europea fa pure sapere che molte delle obbligazioni subordinate già emesse non possono essere più conteggiate nel patrimonio,  a meno di sostituirle con altre che prevedono esplicitamente clausole esplicite di “bail in” e opzioni di rimborso anticipato non inferiori a 5 anni. Siamo alla follia!

Il risultato è che emettere subordinati sarà più complesso e molto più caro. Il tema è scottante e viene affrontato a più riprese in sede Abi.  Si temono “limitazioni della platea dei possibili sottoscrittori: in particolare secondo le norme della MIFID, se venisse confermata la maggiore rischiosità delle obbligazioni soggette a bail-in, queste potrebbero non risultare più adeguate per alcuni clienti retail, che in Italia rappresentano i maggiori sottoscrittori di titoli”. Ovviamente, la questione interessa anche Bankitalia che deve vigilare sul sistema.

La soluzione trovata mette Abi, Bankitalia e Consob d’accordo: inserire nei Dossier Titoli delle Famiglie una certa percentuale di  subordinati, i quali offrono qualcosa in più rispetto alle obbligazioni ordinarie (senior) ma decisamente meno di quanto prevedrebbe una corretta remunerazione del rischio assunto. E questo sarebbe costato molto meno di un vero e proprio aumento di capitale. Il 4-5% pagato dalle quattro banche salvate non poteva assolutamente remunerare il rischio assunto dai risparmiatori. Ma questo particolare, i risparmiatori non potevano nemmeno sospettarlo, e gran parte di loro non sapeva nemmeno che si stava assumendo un rischio quasi-azionario.

Industria bancaria e “controllori” collaborano così tacitamente al collocamento di obbligazioni subordinate alla clientela privata, senza badare troppo per il sottile, evitando di affrontare il mare aperto del mercato. Lo fanno Banca Etruria e le altre tre; ma anche le grandi banche. Da ribadire è che il rischio sarà maggiore per gli istituti che hanno livelli di patrimonializzazione già deboli.

Gli strascichi sono gravissimi. Il 22 dicembre 2014,  la Consob pubblica una “Comunicazione sulla distribuzione dei prodotti finanziari complessi alla clientela retail“, dove oltre a perseverare nel rifiuto della metodologia degli scenari probabilistici, si sconsiglia esplicitamente agli intermediari di offrire alla clientela retail i prodotti finanziari complessi indicati “in un apposito elenco”.

E nell’elenco, che “ha carattere esemplificativo e non esaustivo”, guarda caso mancano proprio le obbligazioni subordinate. Il disastro è alle porte, dunque.

A sorpresa, sei mesi dopo – il 23 giugno 2015 – la Consob fornisce alcuni chiarimenti applicativi, in forma di domanda e risposte: Le obbligazioni subordinate sono prodotti complessi?  Vegas, Deus Ex Machina di Consob,  afferma che “la presenza della mera clausola di subordinazione non implica ex se la riconduzione delle obbligazioni in esame nell’alveo dei prodotti a complessità molto elevata di cui all’Elenco”, malgrado il fatto che secondo l’Esma (l’organismo europeo di coordinamento delle “Consob” di tutti i Paesi Ue), “le obbligazioni subordinate sono considerate strumenti complessi” e raccomanda “la massima attenzione  alle fasi di distribuzione delle obbligazioni subordinate nei confronti della clientela al dettaglio”.

Ma ormai suona il gong dell’ultimo round. A questo punto persino Visco di Bankitalia si rivolge ai risparmiatori. “Gli investitori – dichiara nelle Considerazioni finali sul 2014 – devono essere consapevoli dei rischi sottostanti il nuovo sistema di gestione delle crisi. La clientela, specie quella meno in grado di selezionare correttamente i rischi, andrà adeguatamente informata del fatto che, nel caso detenga strumenti diversi da depositi e titoli garantiti, potrebbe dover contribuire alla risoluzione di una banca. Nel nuovo contesto va valutata l’opportunità di iniziative volte a riservare l’acquisto degli strumenti più rischiosi a investitori professionali”. Questo accadeva all’ultima assemblea di Banca d’Italia. Lo scorso 26 maggio 2015. Appena pochi mesi fa. Banca Etruria era stata commissariata solo tre mesi prima.

Una lunga stagione di decisioni regolatorie sempre pro-business e mai pro-investitore e un lassismo di fatto nei controlli sul campo continuano a scavare voragini nel risparmio nazionale e a minare la minima residua fiducia di risparmiatori nei riguardi di chi lavora coscienziosamente.

Sorvolerò sulla smania di budget  del Direttore di turno, che telefona quattro volte al giorno ai propri settoristi per quantificare il “venduto”, o l’impiegato che si illude che, una volta raggiunto il budget mensile o semestrale di raccolte ed impieghi potrà ambire ad uno scatto di carriera, ma mi soffermerei sulla leggerezza di certe offerte in spregio al tanto decantato “profilo di rischio”, offrendo a chi insegue il rendimento superiore a 3-4 punti sui BTP una trappola infernale.

Nei mie prossimi articoli tenterò di tracciare una disamina sul reale atteggiamento da tenere in presenza  di Clienti non sufficientemente alfabetizzati finanziariamente.